IL SANGUE DELLA MADRE

MOTIVI DI UNA SCELTA

Il testo greco originale è stato liberamente tradotto, tenendo d’occhio come modello di riferimento la classica ed illustre versione dell’intera Orestea fatta da Manara Valgimigli (Sansoni, 1952). Sono stai operati alcuni interventi di semplificazione e riduzione, cercando comunque di lasciare l’impronta del linguaggio eschileo, con le sue ardite metafore e le caratteristiche immagini di potente capacità evocativa.

Gli interventi hanno riguardato soprattutto i brani corali.

Il testo della Pàrodo è stato ridotto a sette distici, di versi endecasillabi; i primi sei sono pronunciati ciascuno da una delle sei voci componenti il coro; il settimo e ultimo viene declamato da tutto il coro insieme:

Voce A (Corifea)           Sempre di pianti si nutre il mio cuore,
guance graffiate, strappate le vesti.
 
Voce B                        Ululo nella notte per la casa:
gemono i morti, chiedono vendetta.
 
Voce C                        Questo il responso di chi legge i segni:
e qui la Maledetta ora mi manda.
 
Voce D                        Regale maestà, con reverenza,
dei cittadini governavi i cuori …
 
Voce E                        Ora Giustizia è assente, ma vendetta
invoca il sangue tuo, colato a terra!
 
Voce F                         Non oso proferire le parole
dello scongiuro, che la donna chiede …
 
Insieme                        Lavare il sangue di sue mani impure
non potrebbero tutti i fiumi insieme.

Nel Primo Stàsimo si susseguono versi pronunciati da singole voci o da più voci insieme. I versi sono doppi, formati da due emistichi, separati da una cesura e costituiti da otto o novenari più senari o settenari. Si è cercato di costruire in tal modo una cadenza adatta a esprimere frasi sentenziose, di tipo gnomico e universale:

Voce B                        Molti la Terra produce / tremendi flagelli,
Voce C                        mostri immani riempiono / i seni del mare,
Voce D                        in alto, fra il cielo e la terra, / balenano fiamme.
Voce E                        Ma chi potrà dire dell’uomo / l’audacia arrogante?
Voce F                         E chi le violente passioni / di donna funesta?
Voce A (Corifea)           Quando passione d’amore / immane travolge,
Insieme le altre              si muta il cuore di donna / in cuore di belva!
Voce A                        Ci fu quella madre che spense / la vita del figlio,
Insieme le altre              bruciando il tizzone che a lui / misurava la vita.
Voce A                        Ci fu quella figlia che, per / favorire il nemico,
Insieme le altre              strappò a suo padre, nel sonno, / il capello fatale.
Voce A                        E qui è l’unione impudica / di cagna assassina,
Insieme le altre              che un re prode in guerra uccise / con subdoli inganni.
Voce A                        Già prossima al cuore, già pronta / a colpire è la spada,
acuta, diritta, per mano / di somma Giustizia.
Insieme le altre              Chi violi la legge di Zeus / resti a terra schiacciato!
Incudine salda è Giustizia, / e vi batte il Destino.

Analoga tipologia nel Secondo Stàsimo, dove i versi risultano formati dall’accostamento, tra loro, di ottonari o più spesso novenari, producendo una cadenza più ampia e solenne:

Voce A (Corifea)           Ogni parola che dico / è un grido: Giustizia! Giustizia!

Tu, Zeus, difendi Giustizia: / si compiano i voti dei giusti!

Insieme                        E lui, ch’è già dentro la casa, / rinsalda di forza, rinsalda!

Voce B                        Lui è un puledro, aggiogato / a un carro pesante di mali.

Tu, poni fine al suo corso: / è orfano d’uomo a Te caro.

Voce C                        Il sangue in antico versato / si lavi con sangue novello.

Ma tutto sia giusto: altri lutti / non sorgano dentro la casa.

Insieme                        E lui, ch’è già dentro la casa, / rinsalda di forza, rinsalda!

Voce D                        E tu, che la bocca profonda / di Delfo hai scelto a dimora,

fa’ che la casa riveda / la luce che splende serena!

Voce E                        Tu, figlio di Maia, che spesso / ignoti sentieri disveli,

sugli occhi ai nemici distendi / un velo di tenebra oscura!

Voce F                         E allora un libero canto / in Argo noi canteremo:

per la città la salvezza / e il bene per noi, finalmente!

Insieme                        E quando il momento sia giunto / di agire con cuore ben saldo,

invoca il soccorso del padre; / e a lei, che dirà tu, mio figlio …

No. Figlio io sono del padre / rispondi, del padre soltanto!

Nel Terzo Stàsimo prevalgono la concitazione e il grido. Ogni verso è costruito in modo differente dagli altri e possiede una sua specifica ritmica di sillabe e di pause:

Voce F                         Venne Giustizia infine, / contro la casa di Priamo …                  (8+8)

Voce E                        e venne alla casa / di re Agamennone / due volte un leone.       (6+6+6)

Voce A (Corifea)           Gioite, compagne: / è libera / la casa del re!                             (6+4+5)

Insieme                        E’ finito l’obbrobrio, è mutata Fortuna!                                     (7+7)

Voce D                        Amavano battersi all’ombra: e venne dall’ombra la pena.           (9+9)

Voce A (Corifea)           Gioite, compagne: / è libera / la casa del re!                             (6+4+5)

Insieme                        E’ finito l’obbrobrio, / è mutata Fortuna!                                               (7+7)

Voce C                        Apollo, l’Ambiguo, ordinava / un agire sicuro …                                   (9+7)

Insieme                        Sempre Giustizia / raggiunge la colpa!                                      (5+6)

Insieme                        Sempre trionfa / il verbo del dio!                                                          (5+6)

Voce B                        Tu adora i signori del cielo, / e premio ne avrai.                        (9+6)

Voce A                        La luce ritorna: / rialza la fronte, / o mia casa!                           (6+6+4)

Insieme                        Giacevi prostrata, / ma ora hai scosso / le gravi catene!                        (6+6+6)

L’idea di trasformare ad un certo punto, nel corso dell’Esodo, le ancelle portatrici di offerte in un coro di furiose Erinni, alle quali va ad aggiungersi anche la stessa Elettra (cfr. Note di Regia), ha comportato la necessità di inventare e inserire alcune battute, tutte in concitati endecasillabi:

Elettra                          Maledetto! Che tu sia maledetto!

Voce A (Corifea)           Hai versato il sangue della madre!

Voce B                        Hai troncato la vita di tua madre!

Voce C                        Hai offeso la Prima Dea, la Madre!

…..

Voce D                         Non è lecito fare ciò che hai fatto!

Voce E                        Avrai tormenti ed incubi in eterno!

Voce F                         Maledetto! Che tu sia maledetto!

Insieme                        La madre è sacra, è prima di ogni cosa …

…..

Insieme                        Macchiata è la città: non avrà pace,

se non uccide chi la madre uccise!

L’invenzione registica basta a motivare il nuovo titolo, un po’ anche “a effetto”: Il sangue della madre.

Le battute sottratte alla Corifea sono state assegnate a Pilade. Altre aggiunte riguardano le ironiche parole che si scambiano tra loro i due Servi nell’atto di entrare nella reggia (cfr. Secondo Episodio, Scena Seconda); e infine i monologhi di Egisto al pubblico, che introducono e concludono il dramma (per cui cfr. Note di Regia), prima del corto finale Il Ripensamento, che chiude tutto lo spettacolo.

Lo svolgimento del dramma è nel complesso fedele all’originale eschileo, ma con alcune eccezioni.

Innanzi tutto, il regista ha voluto che allo svolgimento della vicenda fosse anteposta una curiosa introduzione: il personaggio di Egisto viene sul proscenio a parlare al pubblico, presentando se stesso e i retroscena della storia che si sta per rappresentare: si fa cenno in tal modo al tragico mito dei Tantàlidi e alle ragioni profonde dell’odio che portò all’assassinio di Agamennone.

Contravvenendo poi ancora ai canoni della drammaturgia greca, l’uccisione di Clitennestra da parte del figlio Oreste si compie sulla scena, davanti agli spettatori, per motivi dichiaratamente spettacolari; poco prima, l’amante e complice della regina, Egisto, finisce invece ucciso (come previsto dall’autore antico) all’interno del palazzo, da dove sentiamo levarsi il suo ultimo grido: ma il personaggio esce barcollando dalla reggia e va a stramazzare, significativamente, ai piedi della tomba di Agamennone. I due corpi restano esposti e visibili sul palco per tutta la parte finale del dramma.

Quando infine tutti i personaggi escono di scena, Egisto si rialza e fa rialzare Clitennestra, prendendola per mano; la coppia viene sul proscenio ed Egisto si rivolge nuovamente agli spettatori, accennando (non senza ironia) alla conclusione della vicenda: il processo a Oreste davanti al tribunale dell’Areopàgo e la sua contestata assoluzione. L’introduzione e la conclusione, dette dal personaggio di Egisto, servono in tal modo a collegare l’argomento delle Coefore, tragedia centrale della trilogia eschilea, a quanto rappresentato nel dramma che precede (Agamennone) e in quello che segue (Eumenidi).

Il lavoro di regia presenta però un’altra e più interessante invenzione: la metamorfosi delle Coefore in Erinni.

Nel testo originale, poco dopo il matricidio, Oreste, assediato dalla follia, vede apparire le furie (“le cagne della madre”) che prendono a tormentarlo, tanto che egli decide di abbandonare la città e fugge inseguito da loro. Gli spettatori tuttavia non vedono le Erinni e non ne sentono le parole.

Nel nostro spettacolo si è pensato invece di introdurre un inatteso coup de théatre: dopo che Oreste ha mostrato il peplo sporco di sangue nel quale Agamennone era stato irretito e ucciso, ecco Elettra uscire dalla reggia (mentre nel dramma originale essa non compare più sulla scena) e pronunciare in tono sibillino alcune parole che in Eschilo appartengono al Coro (“Nessuno mai dei mortali trascorre la sua vita senza affanni: alla vita ciascuno paga sempre il suo prezzo”). E mentre Oreste continua a parlare, preannunciando l’intenzione di recarsi a Delfi, il personaggio di Elettra distribuisce alle ancelle le rosse maschere che ha portato in un canestro; indossando tali maschere, il Coro delle Coefore si muta in Coro delle Erinni. Di esso si fa componente Elettra stessa, unica erinni senza maschera. L’effetto di questa invenzione viene potenziato dalla musica, dai gesti e dalle battute scritte appositamente per le varie voci che compongono il nuovo insieme.

Il senso di tutto ciò viene lasciato all’intuizione degli spettatori, i quali troveranno una sorta di conferma nel corto teatrale (Il Ripensamento) che chiuderà, in termini comici e ironici, lo spettacolo: si rivedrà la scena dell’uccisione di Clitennnestra da parte di Oreste; ma questa volta Elettra, colta da un ripensamento che la porta in quanto femmina a solidarizzare con la madre, uccide inaspettatamente Pilade ed il fratello.