IL CICLOPE

IL CICLOPE E NOI

Non abbiamo voluto però interpretare Il Ciclope di Euripide alla lettera, intervenendo invece, anche questa volta, sul testo in modo autonomo e creativo. Ci è sembrata infatti fuori luogo, e per certi aspetti addirittura imbarazzante, l’idea di riproporre Il Ciclope nella sua forma originale. Pensiamo, ad esempio, ai satiri: dovendo esprimere una certa concezione del mondo, essi erano raffigurati perpetuamente ebbri e sessualmente eccitati; il loro stesso costume ne evidenziava gli attributi corporei “bassi”, il deretano, il ventre, il fallo. Quale studente/attore accetterebbe di indossare simili panni?
Abbiamo quindi preferito essere filologicamente “scorretti” ed ammodernare e ingentilire il dramma euripideo, trasformandolo in una più leggera favola mitologica, che conserva certo alcuni colori dell’originale, ma presenta anche tematiche e personaggi nuovi. Il nostro Ulisse sbarca in un luogo favoloso, dove Polifemo dispone di un gregge parlante, umanizzato, grazie ad un incantesimo del buon mago Telemo, che si è assunto l’impegno (per altro fallito) di educare i Ciclopi e di fare di quella terra un mondo ideale, da contrapporre sia allo stato bruto di natura sia alla civiltà perfida e imperialistica della Grecia …

“Polifemo era il migliore dei Ciclopi, e stava per deporre quelle tradizioni feroci e primitive che ben sai: sarebbe potuta nascere un’epoca nuova, fatta di gentilezza, qui, in questo angolo di mondo … mi amava molto, ma io non lo ricambiai. E’ difficile amare chi è brutto. Così l’antico mostro prevalse, in lui e negli altri …”.

Queste sono le parole che, nell’epilogo, la ninfa Galatea rivolge, a mo’ di spiegazione, al povero e spaventato Achemenide, il marinaio abbandonato cinicamente da Ulisse su quella terra. Quindi Galatea conduce il naufrago greco dal vecchio Telemo, il quale lo invita a trovare la “città della fratellanza”, ubicata nelle “sconosciute profondità del cuore umano”. Quasi come un deus ex machina moderno, Telemo ha il compito di spiegare e di estendere i concetti già espressi da Socrates prima di morire nel suo Canto di filosofo (un bellissimo brano del poeta stradellino Ugo Magnani): per approdare a quella meta, bisogna prima incontrare e superare, riconoscendola, la ferinità occulta in ciascuno di noi. Tutti siamo o siamo stati un poco ciclopi selvaggi … In questo finale, serio e simbolico, abbiamo dunque cercato di tirare le conclusioni circa il senso della nostra rilettura. Raccolto da Enea, non più suo nemico, Achemenide partirà in cerca di una nuova patria, con la speranza di trovarne una migliore di tutte quelle del suo passato.