IL CICLOPE

PERSONAGGI ED INTERPRETI

GIULIA GANDINI (Anfitrite, dea del mare, madre di Polifemo)

Ho accolto la proposta di partecipare a Il Ciclope con interesse ed immediato entusiasmo. Non nascondo di essere stata assalita, in un primo momento, da dubbi e timori: “Giulia, ce la farai? E lo studio?” … Ricordo poi la soggezione ai primi incontri di prova, le ironie dei compagni più burloni. Recitare, immedesimarmi nella parte, incarnando un personaggio a me estraneo, non è stato semplice. Ma progressivamente, con l’aiuto del prof. e dei miei compagni stessi, ho acquisito padronanza del testo, e di me stessa. Ho trovato la convinzione giusta per eseguire al meglio la parte a me affidata, ho saputo vedere i miei difetti, lavorare sui punti più deboli, migliorarmi. La consapevolezza di poter contare sul prof. e sugli amici è stata enormemente stimolante e confortante.

Il teatro è un gioco, ma come tutti i giochi ha delle regole. Come gruppo, compatto e affiatato, abbiamo cercato di capirle, queste regole, di studiarle, ci siamo impegnati ad acquisire le tecniche che ci venivano insegnate. Tutti abbiamo collaborato, “at-ti-va-men-te”, per la buona riuscita del progetto. Il nostro primo spettacolo ha ricevuto un grande apprezzamento da parte del pubblico: una vera soddisfazione! Al Fraschini, ci siamo invece scontrati con spettatori più freddi, composti, esigenti, insomma un pubblico cittadino! L’impatto con il clima di un vero teatro si è fatto sentire: dietro le quinte la tensione dilagava, e la mancata solidarietà del pubblico ha influito sul rendimento di qualche attore. Ma siamo comunque usciti vittoriosi anche dal portone del teatro pavese.

A distanza di qualche settimana, il mio entusiasmo non si è spento. Ho sempre creduto in questo spettacolo e sono fiera di avere contribuito a realizzarlo. Che dire? Ho imparato molto, divertendomi.

ALESSANDRO GOBBO (Polifemo)

Penso che il teatro, come ogni altra forma di espressione artistica, oltre ad essere arte sia comunicazione e, come tale, anche strumento pedagogico, validissimo all’interno della scuola. Assistere ad una rappresentazione può rivelarsi culturalmente e scolasticamente più efficace che sentire una lezione.

In questo Ciclope io ho avuto il privilegio di vedermi affidato il ruolo del protagonista, e via via che procedevano le prove mi sono sentito sempre più nei panni del Polifemo tratteggiato dal professore, sempre meno imbarazzato e timoroso, acquistando alla fine una certa sicurezza e scioltezza. Per noi, abituati spesso a intrattenimenti individualistici, che ci estraniano dal mondo circostante (penso a Internet o alla playstation), il far parte di un gruppo in cui si richiede la massima collaborazione, dove i ruoli sono complementari e solo la solidarietà può far maturare le capacità di tutti, dove si deve tener conto degli altri, delle loro caratteristiche ed esigenze, non può che essere un’esperienza altamente formativa. Essa ci ha dato nuovi stimoli, utili a esprimerci e realizzarci.

Il professore è stato bravo, capace non solo di creare e mantenere alto l’entusiasmo, ma anche di trovare la via del nostro cuore e della nostra mente, suscitando in noi un insospettabile interesse per il teatro, forma culturale prima quasi ignorata. L’idea di riprendere in chiave moderna il dramma classico, rivisitando il passato alla luce del presente, io la giudico una splendida alternativa della scuola nei confronti dei media di oggi.

Nicolas Marro, Alberto Maserati, Emilio Vercesi

SOPHIA TERRANI (ciclopessa)

La brillantezza del testo si è perfettamente trasferita nello spettacolo, rendendo, se non più semplice, almeno divertente il lavoro di imparare le battute e lasciando qualche spazio alla immaginazione e all’improvvisazione degli attori. Molto interessante, ad esempio, mi è sembrato il ruolo svolto dalle pecorelle di Polifemo, chiamate a sostituire i satiri di Euripide, mantenendone alcune caratteristiche e sviluppandone altre. La loro capacità di parlare vivacizza la narrazione, spesso inducendo al sorriso.

Sebbene l’esperienza mi attirasse, non ritenevo di essere adatta al palcoscenico e pensavo di offrire soltanto la mia opera (valente …) di truccatrice. Invece ho assunto, con piena soddisfazione, i panni di una delle tre ciclopesse, in uno dei pezzi più comici ed espressionistici di tutto il testo, la “ricetta” per cucinare un buon arrosto di carne umana!

FILIPPO BRANDOLINI (Ulisse)

Mi è capitato più volte di giocare partite di calcio importanti (come la finale del campionato provinciale allievi, alcuni anni fa), di fronte ad un pubblico numeroso ed esigente. Una situazione che ha qualche analogia con il recitare su un palcoscenico. Ci si mette in gioco, ognuno col proprio ruolo: ma dentro un superiore “gioco di squadra”, che va al di là del semplice estro individuale. E inevitabilmente si finisce con l’essere giudicati, singolarmente e come insieme: ed il verdetto non lascia, in entrambi i casi, nessuno spazio alle giustificazioni. Forse il pubblico può comprendere un errore e compatirlo: ma poi basta. O applaude o fischia.

All’inizio ero un po’ scettico sul laboratorio teatrale, non perché non mi piacesse, ma perché lo consideravo una cosa … facile. Giudizio superficiale! Ben presto infatti, avendo avuto un ruolo tutt’altro che marginale nella rappresentazione, ho incominciato a preoccuparmi: l’eventualità del minimo errore mi appariva angosciante, terribile da sopportare, impossibile da rimediare, peggio di un rigore sbagliato! C’è voluta la passione e la pazienza del regista, e l’esempio degli altri attori miei compagni, per superare quella fase di scoramento. Alla fine tutto è andato a meraviglia. Un’esperienza che rimarrà nel mio cuore e nella mia mente, sempre. Abbiamo dato il massimo, com’era giusto, come si pretendeva da tutti noi. Sul palcoscenico come in campo, bisogna dare per il gruppo, perché è nell’armonia del gruppo che risaltano al meglio le diverse qualità individuali. Ma c’è una differenza tra calcio e teatro: in campo, dove non arrivasse, per caso o per stanchezza, la lucidità mentale, uno può attingere alle estreme riserve fisiche; sul palcoscenico dominano il cervello e il cuore: puoi restare senza fiato, ma guai a perdere la concentrazione. Sono sorpreso ed emozionato di ciò che ho saputo fare ne Il Ciclope. Veramente felice.

CLAUDIO VALIZIA (Achemenide, marinaio)

Da subito avevo intuito che l’esperienza del laboratorio teatrale avrebbe comportato un grande impegno, ma l’accettai di buon grado, senza riserve (o quasi), come tutti. In effetti i sacrifici sono stati numerosi e notevoli, ma a posteriori ritengo che ne sia valsa la pena. Il laboratorio ci ha dato modo di entrare in contatto con l’affascinante mondo che gravita attorno al teatro. Abbiamo potuto seguire passo dopo passo le fasi attraverso le quali un’opera si sviluppa e viene portata in scena: dalla stesura, mai definitiva, del testo alle prove di recitazione, dal montaggio delle coreografie alla declamazione e al canto, dai lavori sulla scenografia all’organizzazione dell’allestimento, e finalmente al debutto. Ne è uscito un gruppo di lavoro molto affiatato e professionale. Inoltre è stato possibile, per qualche ora la settimana, abbattere quella barriera di monotona formalità che separa di norma gli studenti dai docenti, instaurando rapporti nuovi con alcuni di questi. Infine non bisogna sottovalutare l’aspetto della cultura: ciascuno di noi ha appreso molto e oggi dispone di un più ricco bagaglio di conoscenze. Dopo il successo dei due spettacoli, di Broni e di Pavia, mi sento molto soddisfatto e posso concludere che questa iniziativa è stata uno dei pochi “tocchi di colore” ad un magro Piano della Offerta Formativa proposto agli studenti del Foscolo.

LUCA CALATRONI (Socrates, marinaio filosofo)

Un giorno di febbraio dello scorso anno un mio amico, ormai universitario, era venuto al liceo per salutare i suoi ex insegnanti. Ma quasi tutti questi, memori delle sue poco brillanti performances, lo avevano accolto con poca simpatia, al grido di: “E’ tornato, il lazzarone!”. A capo chino e con la coda fra le gambe, egli errava per i corridoi, alla ricerca del solo professore che avrebbe rivisto volentieri, perché, lo sapeva, non lo avrebbe messo alla berlina. Per noi era un’ora di lectura Dantis … ma ecco bussare alla porta. Ricordo che, dopo i saluti, la conversazione prese subito una strada diversa. Reduce dalla esperienza di attore nella Ifigenia in Aulide, il ragazzo chiese al professore se ci fosse in serbo qualche progetto simile anche per noi; e così, ricomposti in un silenzio innaturale, udimmo il responso pronunciato solennemente: sì, avremmo recitato in una rielaborazione di un dramma greco, Il Ciclope di Euripide.

Suonò la campana dell’intervallo e la maggior parte della classe fuggì all’assalto delle focacce. Io rimasi in classe, per cercare di carpire i dettagli di quel progetto, che mi sembrava allora lontano ed astruso; ma la conversazione si trasferì sui bei ricordi della rappresentazione passata: si rievocava il mondo della Ifigenia, e tra studente e professore sembrava instaurarsi un clima di nostalgica amicizia … mi chiedevo, stupito: ma davvero queste esperienze hanno il potere di unire la rivoluzionaria classe studentesca con la classe conservatrice dei docenti?

A settembre, lasciato l’interminabile otium estivo, ci preparammo ad affrontare la quarta. Ci rendemmo subito conto che i ritmi scolastici consueti sarebbero stati alquanto modificati dall’ormai avviato “progetto Ciclope”. Esso si riproponeva settimanalmente in mille forme: laboratorio di recitazione, ma anche bottega artistica e gruppo organizzativo. I vari gruppetti della nostra classe lasciavano tuttavia spazio ad un collettivo, che aveva l’obiettivo comune di realizzare “qualcosa di bello e di importante” (parole sacrosante, di Civardi). E così, durante le prove, i tuoi abiti alla moda diventavano idealmente una veste greca; ogni persona diventava un personaggio; tutto si adattava a una funzione prestabilita. Se preso alla leggera, ciò potrebbe produrre risultati scadenti; se preso con la dovuta serietà (“quanto basta, per carità, non pretendiamo troppo”) può rivelarsi un’esperienza stimolante. Ben presto, tutti noi capimmo di non volere che il dramma buffonesco di Polifemo restasse al livello amatoriale di “buffonata”, ma che diventasse una cosa incredibilmente “seria” …

I lavori procedevano, in un clima produttivo ed equilibrato, benché comunque goliardico, e all’interno del cast si rafforzavano le vecchie amicizie, se ne creavano di nuove e si incominciava a temere per la fatidica data del debutto. Il professore, che ora limitava al necessario i richiami e le correzioni, sembrava sempre più preoccupato, ma allo stesso tempo felice per quello che si andava concretizzando. Durante le prove si facevano dei break per ascoltare i suoi ultimi suggerimenti e, contrariamente a quanto accade di solito a scuola, la noia tipica delle spiegazioni non trovava più il minimo spazio, perché chiunque ricevesse i suoi consigli aveva la forte e sincera volontà di migliorarsi. Era l’inizio di quel legame particolare che avevo notato quel giorno di febbraio. Più che conoscerci come studenti o compagni di classe, il progetto stava facendo conoscere, al professore e a noi stessi, come siamo realmente. Ecco la reale validità dell’iniziativa: essere considerati ed apprezzati per quello che siamo, indipendentemente dalla media dei voti che abbiamo nelle varie materie.

Giunse il 16 aprile. Un successo: applausi a non finire per attori e per tutta la squadra, e un incredibile aumento di autostima, dovuto alla consapevolezza di avere realizzato il nostro proposito. Mi sembra importante sottolineare ancora il valore formativo dell’esperienza: se per qualche professore la “recita” è una perdita di tempo, per noi significa un’attività progettuale, da ripetere, per la grande importanza morale ed umana che comporta. Recitare ha significato per noi crescere, essere proiettati in una realtà prima sconosciuta e scoprirci in grado di farne parte, con convinzione e spirito di sacrificio.

Certo, non sono mancati i momenti critici: recarsi alle prove significava spesso perdere un pomeriggio di studio, che sarebbe certamente tornato utile. Ma siamo riusciti a superare gli agguati dei vari professori, senza mai ricorrere alla codarda giustificazione: “Non sono riuscito a studiare, perché ero impegnato con la recita … ”. A quanto pare, il Ciclope ha segnato uno sviluppo della maturità e del senso del dovere. Mi rendo conto che la partecipazione a questa esperienza sarà il primo dei ricordi che fra dieci o vent’anni mi verrà alla mente, ripensando al vecchio e caro liceo Foscolo.

FEDERICO FINOTTI (l’Ariete, capo del gregge di Polifemo)

Quando il prof. Civardi ci propose questo progetto, io mi dimostrai piuttosto titubante. Ora, concluso con successo anche l’ultimo spettacolo, quello al Fraschini di Pavia, sento di aver portato a termine molto di più di una recita scolastica. Infatti ho provato emozioni ed avuto esperienze uniche, irripetibili, che sicuramente ricorderò per tutta la vita. Di tutto ciò posso ringraziare solo il prof. Civardi, la sua capacità di organizzazione, la sua disponibilità e pazienza. Ricordo che, alle prime prove, passavamo la maggior parte del tempo a ridere di noi stessi e degli altri. Il prof. si arrabbiava, insisteva a darci delle dritte, ci insegnava espressioni e movimenti, lui stesso provava la gestualità adatta alle varie situazioni: ma in noi mancava totalmente la fiducia nelle nostre possibilità.

Con il passare del tempo le prove si fecero più frequenti e impegnative. A poco a poco la vergogna, la paura, la superficialità diminuivano e ciascuno sentiva di riuscire, entrando sempre più nel proprio personaggio. Il prof. acquistava man mano il ruolo di regista, lasciando a noi la conduzione delle scene e la stessa correzione delle battute, intervenendo sempre più di rado, solo nei punti che considerava recitati troppo malamente o distrattamente. Voleva che diventassimo responsabili.

E noi, credo, lo siamo diventati. Negli ultimi tempi era addirittura un piacere partecipare alle prove. Si provava ovunque: a scuola, a casa, all’oratorio. Per la prima volta nella vita sono stato anche in uno studio di registrazione, quello di Maurizio Castoldi a Pavia, per incidere la declamazione dei brani corali. Ormai eravamo un gruppo unitissimo, tutt’uno con il professore, e ciascuno consapevole della propria responsabilità per la buona riuscita dello spettacolo.

Penso che nessuno di noi potrà mai dimenticare quella sera d’aprile, l’emozione che si prova nell’uscire dalle quinte all’impatto con il pubblico, gli applausi finali, il successo dopo un anno di lavoro. E poi, la nuova impresa di conquistare anche il pubblico di Pavia: la paura tornava ad essere tanta, gli attori non in scena, dominati dalla tensione, non riuscivano neppure a parlare, a scherzare un poco tra loro. Ma anche a Pavia è stato un successo. Così abbiamo ripagato il prof. Civardi, al quale tutti noi devono un bel grazie

ELISA BOATTI (Vello di neve, pecorella)

Penso che sia stata un’esperienza utile e soddisfacente per tutti, tale da ripagarci del lungo ed impegnativo lavoro svolto per gran parte dell’anno. Una cosa impossibile da trascurare è stata l’influenza che il testo ha esercitato su di noi: non solo ciascuno seguita a riprendere, nei discorsi di tutti i giorni, qualche battuta del copione, ma tuttora i miei compagni, invece di Elisa (o Eli … ), mi chiamano “Vello!”. Questo non dice tutto?

GAIA FRANCONE (Bel Belato, pecorella)

Tutto è incominciato molto prima dell’anno scorso, quando i ragazzi che avevano realizzato la Ifigenia in Aulide venivano da noi e ci dicevano: “Tra un paio d’anni tocca a voi … fàtela, fàtela, perché merita” e poi aggiungevano: “Il Civa è un grande, è troppo bravo”. Il Civa?? Quel professore così serio, che mette in scena una antica tragedia, viene chiamato dai suoi studenti di quinta “il Civa”? Mah, contenti loro … Intanto noi pensavamo a che cosa il prof. avrebbe architettato.

La risposta nel maggio 2004: “Ragazzi, la vostra rappresentazione teatrale si intitolerà Il Ciclope”. Il prof. ci parlò poi a lungo di Euripide e del dramma satiresco, obbligandoci anche a leggere e a commentare l’originale, ma scegliendo di puntare su una sua personalissima e divertente rielaborazione. Ed eccolo lì, nelle nostre mani, il fatale copione!! Non era neanche finito l’anno scolastico che già avevamo letto, analizzato e discusso ciò che sarebbe entrato nei cassetti della nostra memoria, per non uscirne più, credo …

Ricordo che, nel momento in cui leggemmo i nomi dei personaggi, io osservai: “Ruoli femminili? Anfitrite, Galatea, le Ciclopesse, le Pecorelle … nient’altro”. Mi sentivo troppo piccola e magra per essere la madre di Polifemo o la moglie di un ciclope, troppo poco aggraziata per essere una ninfa. Per esclusione, potevo fare la pecorella: e in effetti così il prof. mi ha visto, e ha voluto che fossi Bel Belato. Beh, cominciai a pensare che mi sarei divertita …

Inizialmente tutti prendemmo le prove alla leggera: era solo settembre! In realtà, non avevamo la minima idea di come si dovesse realizzare uno spettacolo simile: c’erano venticinque incompetenti contro un esperto, il prof. Civardi! Non si possono descrivere tutti quei pomeriggi passati a provare e a riprovare, per migliorarci. So che non è stato facile conciliarli con lo studio e con le altre attività, ma ce l’abbiamo fatta. Più il tempo passava, più era bello salire sul palco e tentare di ricordarci battute e movimenti, vedere la faccia disperata del prof. perché i tentativi fallivano. Ma forse era una finta: lui sapeva come sarebbe andata a finire. Al di là del divertimento, è stata una esperienza umana positiva, che ci ha permesso di conoscerci meglio, di sentirci più uniti, tra noi e con “il Civa”. Ora infatti c’è un’atmosfera nuova, in cui si mescolano serietà e sorriso, lavoro e confidenza. E’ una strana intesa, creata da tutti quei pomeriggi e da quelle sere, passati spesso al freddo, ma sempre insieme, determinati a costruire “qualcosa di bello”.

Il 16 aprile, nei camerini, continuavamo a urlare per scacciare la tensione. Dietro le quinte i cuori battevano forte, le mani sudavano, qualcuno diceva sciocchezze, tutti cercavamo di immaginare quante persone ci fossero lì, dietro quel sipario, venute solo per guardare noi. In effetti c’era moltissima gente, e abbiamo sentito che era tutta partecipe. Il pubblico è con te, e ci resta, se fai bene. Così, tutto è volato, tutto è finito in fretta come non mai: l’intero spettacolo non mi era mai sembrato così breve. Un mese dopo, al Fraschini, non è stata la stessa cosa. C’era un pubblico diverso, più freddo, attento e severo, come ci ha detto il prof. vedendo la nostra delusione. Ma anche questa è stata un’esperienza.

EMI FRATTONI (Dolcelana, pecorella)

Lo spettacolo del professore riprende con efficacia e immediatezza gli aspetti del Ciclope euripideo. Dal punto di vista della trama, i due testi sono abbastanza simili: ma Civardi si è preso una notevole libertà nell’adattamento delle tematiche e del linguaggio alle necessità dei giorni nostri. In questo senso, del tutto originale risulta l’epilogo, con il suo forte e moderno messaggio morale e civile, assente in Euripide. Ciò non significa che l’antico autore sia stato travisato. Euripide era già allora “moderno”, in quanto innovatore della drammaturgia classica e scrittore anticonvenzionale. I suoi personaggi sono caratterizzati in primo luogo da una demistificazione dell’immagine eroica; e spesso l’umanizzazione delle vicende, che l’autore andava perseguendo, comportava la chiamata sulla scena di figure sociali umili, pronte a dialogare da pari a pari con i cosiddetti “eroi”. Non sbagliava Aristotele, che nella Poetica ha scritto: “ Sofocle rappresentava gli uomini come devono essere, Euripide invece così come essi sono”.

Anche il testo del prof. risponde a queste caratteristiche e mette in scena semplici uomini, con le loro paure, i loro dubbi, le loro piccole o illusorie speranze, il loro mentito coraggio, i ridicoli difetti e, perché no, qualche nobile scatto di qualità.

Per tutto ciò, mi è sembrato fin dal principio che questo Ciclope avesse grandi potenzialità spettacolari: trama, personaggi, struttura e linguaggio sono stati riadattati in modo egregio, efficace e immediato, per andare incontro ad un pubblico medio, anche non “colto”. Ne è uscito uno spettacolo, secondo il mio modesto parere, sinceramente bello, diverso dalle rappresentazioni teatrali che siamo abituati a vedere, tale che ci ha regalato un innovativo approccio ai classici, ma con tutte le carte in regola …

ALESSANDRO FIAMBERTI (Telemo, mago)

Non ho mai avuto dubbi circa una mia possibile partecipazione al progetto, dato che la recitazione (ne ho avuto la conferma già l’anno scorso, con i testi di Dario Fo) mi diverte e mi esalta. Perciò mi sono sentito realmente onorato quando il professore, spontaneamente, senza che io gli chiedessi nulla, mi ha chiamato in causa, affidandomi la parte di Telemo, quello che ha il compito di chiudere la storia. Mi sono dedicato immediatamente allo studio della parte, cercando di approfondirla. Già mi ero reso conto dal copione che sarebbe stata una rappresentazione interessante, divertente e valida, al punto di andare alle prime prove in teatro, quando la mia presenza non era ancora richiesta.

Dopo lo spettacolo al Fraschini, ho capito di avere portato a termine un impegno in modo soddisfacente, forse per la prima volta, dimostrando ai miei genitori e a me stesso che, se mi dedico anima e corpo a qualcosa, sono capace di realizzarla.

Questo laboratorio teatrale non è stato affatto inutile, anzi mi ha permesso di conoscere meglio me stesso, di scoprire i miei punti deboli e di rafforzare quelli forti: è stato insomma una delle cose migliori che questo liceo mi ha dato. Grazie di tutto, prof: penso che, in tutto questo, lei sia stato fondamentale.